Ieri ho rivisto Into the Wild. (Nel link c’è spoiler).
Se appartieni a quella minuscola fascia di popolazione che non ha mai visto questo film, ti faccio un piccolo recap. Chris è un ragazzo di 22 anni che proviene da una famiglia abbastanza agiata a livello economico ma abbastanza disagiata a livello emozionale e affettivo. Dopo la laurea decide, con grande disappunto dei genitori, di partire all’avventura per scappare dal consumismo. Zaino in spalla, si ritrova a viaggiare a piedi, in autostop, in kayak, a vivere su una spiaggia con una coppia di hippy, in una comunità di camper nel deserto, fino a che non matura una consapevolezza: vuole andare in Alaska. È più o meno a questo punto che dice una frase, il cui senso è che legare la propria felicità alla presenza degli altri è un errore.
Scegliendo come nuovo nome Alexander Supertramp, il protagonista inizia a studiare come cacciare, come riconoscere le piante, insomma come sopravvivere in Alaska. Passa un po’ di tempo con un vecchio che gli insegna alcune cose ed infine Alex si reca nella terra dei suoi sogni, dove trova un autobus abbandonato che diventa la sua casa (il mitico Magic Bus).
Succedono delle cose, e verso la fine Supertramp scrive sul bordo del romanzo Dr Zhivago la celeberrima frase che ha reso iconico il film: Happiness is real only when shared, La felicità è reale solo quando è condivisa. L’opposto, quindi, di quanto aveva affermato a metà film.
Questa frase aveva avuto in me un impatto talmente devastante che avevo rischiato di inserirla nel mio primissimo tatuaggio, a 18 anni. All’ultimo momento però avevo dubitato del concetto stesso, forse ai tempi neanche avevo ben capito per quale ragione, ma non l’avevo messa nel disegno finale.
Adesso sono passati 12 anni. Rivedo questo film e ancora non so da che parte schierarmi, mi faccio questa domanda. Quale è la vera Felicità?
Regina della dipendenza affettiva (se non sai cos’è, e beato tu, ne parlo qui), per me la condivisione è il fine ultimo della vita: niente mi rende più felice che far scoprire cose nuove, mostrare posti, raccontare storie, scambiare punti di vista, mescolare persone, posti, pezzi di vita.
Eppure non posso dire di non provare dei momenti di pura felicità anche in totale solitudine: quando avevo appena preso casa da sola a Bordeaux, o la camminata lunghissima tra oceano e deserto al Cotillo, o quando vado a mangiare da sola al ristorante, magari in terrazza al caldo.
Sono stati momenti di felicità vera, e non li ho condivisi con nessuno, a malapena li ho raccontati e talvolta nemmeno quello. Questo li rende meno felici? No. Vorrei essere capace di essere felice solo da sola? Nemmeno, perché è quanto di più lontano dal mio essere ci sia. Ma il fatto di essere arrivata a saperli apprezzare, cercare e vivere, mi fa pensare che qualche piccolo passo avanti l’ho fatto, da quel giorno di 12 anni fa in cui ho scelto di non mettere quella scritta nel tatuaggio, ed anche da quel giorno di 4 anni fa in cui vivevo il periodo più bello della mia vita, da sola ma mai da sola.
La felicità è tutta vera, bisogna come sempre essere capaci di trovare la propria dimensione. E io la mia ho almeno capito dov’è.
Quindi ecco la mia risposta: la felicità è vera e basta.