Il primo l’ho trovato da ragazzina.
Giusto dietro casa mia, nel paesino in mezzo alle Alpi in cui ho vissuto da bambina e da adolescente, c’è una rupe in cima alla quale svetta una piccola chiesa chiamata Calvario. Salendo per la stradina, circa a metà si può prendere una deviazione meno battuta. Verso la fine, abbandonando la mulattiera e scendendo a sinistra per pochi metri ci si trova ad un falò. Davanti ad esso, scendendo un gradino di sassi, c’è un muretto a strapiombo sulle vigne. Quello è il punto da cui si sovrasta la maggior parte della vallata.
A destra, apparentemente lontanissima, si vede Sondrio. Sotto, la strada statale che arriva fino a Milano e la ferrovia che fa lo stesso percorso, con i vari paesini disseminati qua e là. A sinistra si intravede il Passo dell’Aprica che porta a Brescia ed al lato c’è San Giacomo di Teglio, che sfuma verso Tirano. Di fronte si ergono le Orobie, maestose e scure: il sole, da quel lato, arriva molto meno che nella parte delle Retiche, dove si trova questo mio Posto Magico.
Ci sono arrivata per caso dunque, ma mi sono subito resa conto che quell’angolino di mondo era speciale. Nessuna casa intorno, frequentato poco o niente, di giorno di possono osservare le macchine, i treni, la possenza delle montagne, il variare del loro vestito a seconda della stagione, farsi scaldare dai raggi del sole anche in pieno inverno. Qualche ora dopo il tramonto la magia raddoppia: nelle notti più scure le montagne si confondono con il cielo nero, ed è difficile distinguere le stelle dalle ultime luci delle baite sulle cime delle montagne. Con la luna piena, invece, la zona è praticamente illuminata a giorno. Non si può spiegare la bellezza delle cime innevate che risplendono luminosissime nonostante l’ora tarda. Non ci sono luci artificiali intorno, il silenzio è totale, interrotto a volte solo da qualche animaletto selvatico che passa di là, o dal mio cane, fedele e paziente compagno dei miei giri alla ricerca di un po’ di pace.
Mi ricordo che all’inizio ci andavo a cantare. Prima di capire come andava usata la voce, mi rintanavo nel mio angolino di paradiso per provare a vedere cosa usciva fuori. Mi vergognavo anche con me stessa però, quindi smettevo quasi subito e rimanevo lì, in silenzio, in contemplazione.
Negli anni ho condiviso questo posto con pochissime persone. La mia famiglia, un paio di amici, un paio di fidanzati. Quando poi questi lo hanno fatto scoprire ad altri, mi sono sentita un po’ violata, il Posto Magico era mio e desideravo che restasse il mio segreto, anche se era abbastanza illogico, dal momento che la strada non era affatto nascosta, solo abbastanza isolata. Tuttavia non mi è mai capitato di trovare qualcuno quando ci andavo, e questo gli ha conferito un’aura di magia ancora più forte.
Qualche anno dopo ho lasciato Tresivio (questo il nome del paesino che mi vide sviluppare la mia tormentata personalità in età adolescenziale) alla volta di Milano, e sono stata contenta che altri si prendessero cura e godessero del “mio” Posto Magico.

Del periodo a Milano ho ricordi bivalenti. Sfumati, netti, felicissimi, di disperazione. Quella città si è presa così tanti pezzi del mio cuore che ho dovuto trovarne alcuni di ricambio per continuare a respirare. L’ho esplorata in lungo ed in largo nel corso di 7 lunghissimi, velocissimi anni, e di posti magici ne ho avuti decine, e non ne ho avuto nessuno al tempo stesso. Alla fine, la mia stanza a Cimiano era il mio rifugio, il posto dove potevo rinchiudermi per giorni senza vedere la luce del sole, il posto dove ho coltivato quell’amore che è finito per crescere più forte di me, ribellarsi al mio controllo, avvolgermi e strozzarmi. Ci ho quasi lasciato le penne ragazzi, e non scherzo.

Quando sono scappata via dall’inferno ho trovato il mio piccolo paradiso terrestre. La isla bonita, la mia casa lontana da casa, l’inarrivabile ed unica Gran Canaria. Non sono mai stata felice come lo ero lì e penso che non lo sarò mai più. Ma sono così grata per quel periodo che non ho nessun rimpianto, né rimorso. Il Posto Magico, allora, non poteva che essere lo stesso luogo che mi aveva regalato di nuovo la vita. L’HiTide House, l’ostello più bello del mondo, abitato dalle persone più incredibili che io abbia mai conosciuto. Io mi innamoravo ogni giorno. Sulla terrazza in faccia al mare, appena usciti, sulla destra, c’era un angolino rialzato, ci si poteva sedere in 4, stringendosi un po’. Se ti chiudevi fuori l’angolo era cieco e da dentro nessuno ti poteva vedere, ma da lì era possibile contemplare l’oceano immenso, le maree, il cielo che sfumava nell’orizzonte. Non restava alcun dubbio irrisolto, su quel divanetto. Tutto era improvvisamente chiaro. La sofferenza, la fatica, le ingiustizie, i pianti. Tutto questo è accaduto per portarmi lì. E la magia è stata illuminante.

Quanti giorni, quante notti, quanti tramonti dal mio posto privato. Quante volte mi sono sdraiata a prendere il sole e mi sono sentita così Felice che mi veniva da piangere. Quante anime bellissime ho scoperto tra quei cuscini dalle stampe tropicali, quanti amici nuovi e vecchi hanno respirato questa brezza marina.
Càdiz è stato parzialmente uno schock. Piena di questa energia magica che solo Las Palmas era riuscita a darmi mi sono trovata in un posto che ovviamente era diverso ed inizialmente non l’ho presa benissimo. Una combinazione di casualità ha inoltre fatto sì che per la prima manciata di giorni fossi anche abbastanza sola e quindi la città, per quanto bellissima, mi ha dato una prima impressione non del tutto positiva. Però c’era un posto, ed era ancora nell’ostello in cui vivevo e lavoravo. Dopo aver salito varie ripidissime rampe di scale si arrivava alla terrazza, calda e colorata. E lassù c’era il mio Posto Magico. Una delle cose per cui secondo me vale la pena stare al mondo: una doccia all’aria aperta. Tutta piastrellata di blu, sotto il cielo caldo dell’Andalucia, era un rifugio che mi donava vari momenti di relax. Soprattutto di notte, con la piccola lampadina e la luce delle stelle, lassù, nuda e pulita, ero in pace con il mondo.

Da Càdiz sono scappata in fretta, forse troppo in fretta, e sono volata a Ibiza. Di quel viaggio ho già parlato parzialmente in questo articolo, ed ho avuto la fortuna di finire addirittura a vivere in un Posto Magico. Questa finca in mezzo al nulla, in cima a una piccola e verdissima montagna, era il ritiro spirituale di cui avevo bisogno. La mia stanza, poi, era una piccola oasi chic: lenzuola bianchissime, finestra su una specie di foresta lussureggiante, luce da tre lati.


Questo ritiro a Ibiza è durato poco ma credo che il posto sia uno dei più magici e spettacolari dove abbia avuto l’occasione di vivere. La notte, avvolta dal silenzio più totale, completamente sola con la montagna o al massimo bevendo qualche birra con il ragazzo polacco che abitava lì, restavo affascinata dai piccoli dettagli, il sentiero di ciottoli, la cucina. Perché Ibiza è un’isola bellissima ma la tenuta di Robin era davvero un posto speciale. Un Posto Magico.

Da lì scappai a Lanzarote, Se mi conosci lo sai, non è il mio posto preferito. La trovo brutta, piccola, noiosa. Avevo davvero bisogno delle persone con cui ero lì ma avrei avuto ancora più bisogno di essere con loro altrove. Sono rimasta 4 mesi di cui 1 di troppo. Non mi pento se non appunto forse delle ultime settimane, ma di buono quell’isola mi ha regalato ogni suo tramonto. L’oceano era stupendo nella capitale, cristallino e piatto (quasi come il mare), e quando il sole vi si immergeva i colori si alternavano in ore di pura magia.

Bordeaux è stata una meta che ho aspettato per un po’, ci dovevo venire l’estate scorsa ma ci sono arrivata a gennaio e la settimana prossima diventerà ufficialmente il posto in cui sono rimasta a vivere più a lungo, dopo, nell’ordine, Milano, Lanzarote, Las Palmas, Parigi, Càdiz… Sono qui da 4 mesi che sembrano 2 settimane o due anni a seconda di come la vedi. E di posti magici ne ho trovati ben due.
Il primo è quello in copertina. Per arrivarci devi pedalare! Costeggiare la riva sinistra facendo tutta la passeggiata pedonale sulla Quai, attraversare il ponte alla Cité du vin, poi costeggiare nuovamente la riva ma stavolta a destra, superando qualche parco dove gruppi di ragazzi fanno esercizi con la musica a palla. Si passa accanto a Darwin, altro angolo interessante della città (la prima volta che ci sono stata mi avevi lasciata da due giorni, che avevo passato a fumare la stagnola in tutti i bagni pubblici di Bordeaux. Poi ho tagliato i capelli, le pupille ancora a spillo, e avevo cercato di metterci un punto fermo. Poi un altro. Al terzo sono riuscita a non pensarti per qualche ora.), e ad un campo da basket. A quel punto il sentiero prosegue dritto, ma la prima volta che passavo di lì (da sola, ovviamente) sono stata attirata da un piccolo spiazzo giusto accanto. Una micro discesa e voilà: tra gli alberi si apre un angolino proprio davanti a fiume da cui si vedono tutte le luci della città, le barche che passano pigre, i rami degli alberi circostanti che incorniciano il paesaggio. Ci ho portato solo una persona, qui: l’unica con cui ho sentito di aver instaurato un’amicizia degna di essere definita tale. Normalmente il Posto Magico è dietro l’angolo, la maniera ideale di evadere in qualunque momento, compreso quell’unico quarto d’ora libero che ho ogni tanto. Invece questo è a più di 2 chilometri, quindi ho dovuto trovarmi un sostituto.
Una delle tante mattine in cui ero a lavoro in after vedevo dalla finestrella della living room (ma come la devo chiamare sta benedetta stanza??) un quadrato di cielo azzurrissimo e limpido. Spesso ciò è fuorviante, perché la suddetta finestra è abbastanza piccola ed è sul soffitto, quindi impossibile capire come sia l’intero cielo, ma quella volta faceva anche piuttosto caldo, io non ero stanca, ero ancora fatta, avevo l’ultima botta in borsa. Siccome “I’m a good player”, allo smonto del turno sono andata in bagno, ho fatto la botta, ho preso una birra e sono uscita. La giornata (erano i primi di marzo) era spettacolare a dir poco. La domenica mattina a bordo Garonna era viva e popolata: famiglie e gruppetti, coppie e runners, buskers e dog sitters. Proprio accanto all’ostello c’è un bello skate park. Quella mattina mi chiamava. Sono entrata, mi sono piazzata in cima, con un punto di vista privilegiato sulla città ho aperto la mia birra, messo un po’ di musica sulla cassa e sono rimasta lì diverse ore. La ricordo come una bella e lunga giornata, alla fine mi avevano raggiunto degli amici e non ero rientrata che alle 20.

Da quella volta sono tornata spessissimo allo skate park: a bere, a parlare, a pensare. Di giorno e di notte, ha due magie completamente diverse. Ho fatto un viaggio in ketch che mi ha portata molto vicina alla luna, in una sera freddissima poco prima di attaccare il turno di notte. Ho metabolizzato il fatto che tu non c’eri più e che io invece sì. Resto sempre, io. Resisto.

Mi sono innamorata 365 volte + 1 in un anno lontana da tutto, ma mi sono procurata così tante ferite e traumi che, per una con una paura dell’abbandono come la mia, potrebbero essere fatali. Ho incontrato una ragazza che potrebbe essere la versione di me che forse sarei stata se non fossi stata affossata dal malfunzionamento del cervello che mi ha debilitata per tanti anni, chiamala depressione o solo debolezza. Cosa mi sono persa? Farei scambio di me stessa?
No.
E se mi perderò di nuovo avrò tanti Posti Magici in cui andare a cercarmi: sicuro sono lì, la mia birra in mano, una busta aperta in tasca, gli occhiali scuri per proteggermi dai mostri, a cercare il Sole. E arriva… Sempre!