Negli ultimi anni ho lavorato come mediatrice culturale e operatrice in centri di accoglienza per richiedenti asilo.
Le persone arrivano da diversi posti del mondo e chiedono protezione all’Italia. Pochissimi di questi ottengono un sì che li farà accedere al permesso di soggiorno per protezione internazionale, ma il processo solitamente dura anni e nel frattempo alcuni richiedenti asilo riescono a integrarsi sul territorio tramite lavoro, scuola, relazioni, e quindi riescono in alcuni casi a prendere altri tipi di permesso quando la protezione internazionale viene negata. Il governo Meloni ha reso poi ancora più restrittivi i criteri per ottenere la protezione speciale facendo sì che persone che sono state sul territorio per 3, 5, 8 anni si vedano negato il permesso ed anche la possibilità di restare in Italia, dovendo quindi teoricamente tornare in un Paese da cui sono scappati ed in cui non hanno più nulla.
Ovviamente sto semplificando la cosa, perché oggi in realtà vorrei raccontare una storia.
Questo lavoro l’ho amato e odiato. Da un lato è bellissimo poter fare qualcosa per migliorare la vita di tante persone. Dall’altro lato ti scontri con una burocrazia ostinata e feroce, che a volte ti fa passare la voglia. Per non parlare dello stipendio, raramente sufficiente per arrivare a fine mese (infatti io facevo la barista nei weekend). Ma torniamo alla storia.
Tra agosto e settembre 2023 nei nostri centri di accoglienza, normalmente destinati a maggiorenni, sono arrivati tre minorenni. È arrivato M., un ragazzo del Gambia che dei 175 euro al mese che riceveva per vivere ne mandava una parte alla mamma, restata al paese. È arrivato T., un tunisino che parlava solo arabo, la cui famiglia lo aveva abbandonato spingendolo a scappare; nel giro di pochissimi giorni già iniziava a capire l’italiano: è l’incarnazione del detto “Di necessità virtù”. È arrivato anche B. un fervente cristiano originario del Camerun che camminava veloce perché, dice in francese, quando attraversava i pericoli del deserto si è abituato a fare in fretta.
Sono arrivati a Lampedusa, su delle barche di cui forse avete sentito parlare ma che probabilmente non avete visto. Fatevi un’idea, cliccando qui oppure qui.
Arrivati a Lampedusa è stato chiesto loro di scrivere nome, cognome e data di nascita su un foglio. Poi sono rimasti in attesa, come tutti. Alcuni giorni, altri mesi. C’erano alcuni posti liberi in provincia di Sondrio, quindi B., M. e T. sono stati trasportati da un estremo all’altro dell’Italia. I ragazzi arrivano senza niente: a volte un sacchetto di plastica con dentro un cambio di intimo e il cellulare, altre volte in maglietta e infradito anche d’inverno.
La struttura in cui lavoravo era appunto destinata ad adulti ma, essendo i centri per minori pieni, i tre ragazzi ci furono assegnati lo stesso ed andarono ad abitare con gli adulti: un uomo ivoriano, uno tunisino ed un ragazzo poco più grande di loro del Pakistan. Doveva essere una sistemazione temporanea.
Inizialmente per i tre è stata dura, e forse si aspettavano qualcosa di diverso. I soldi che venivano forniti erano pochi, dovevano cucinare da soli (solo uno di loro era capace), farsi la spesa. Gli venivano dati 2 cambi di vestiti a stagione e per il resto dovevano usare il pocket money mensile. Sono rimasti tutti tra i 9 ed i 12 mesi in attesa che venisse nominato il loro tutore legale, senza il quale non potevano fare una serie di cose, come delle visite mediche o iscriversi a scuola. La struttura nel frattempo ha quindi iniziato un corso interno, e appena possibile i ragazzi sono stati mandati anche alla scuola di italiano per adulti.
Subito ci siamo tutti resi conto che questi ragazzi erano molto diligenti, rispettosi, gentili. Si sono dati da fare con la scuola, e anche sulla casa e sugli appuntamenti non c’è mai stato nulla da recriminare. B. per tre mesi ha dovuto prendere un trattamento medico preventivo a causa di alcuni esami che ha fatto. Non ha mai ritardato di 1 minuto agli appuntamenti di controllo, e avvisava sempre con anticipo quando stava per finire i farmaci. Ha iniziato ad andare a correre e appena ha potuto si è iscritto in palestra, allenandosi duramente tutti i giorni. T. ha iniziato a socializzare con ragazzi italiani e un giorno ha fatto sentire a lezione delle rime che aveva scritto, mescolando arabo e italiano. Quando parla di Ghali con italiani pronuncia il nome in italiano per farci capire. M. aveva recuperato alcuni vestiti da amici o li aveva recuperati usati e quelli che gli andavano piccoli li ha lavati, piegati e riposti in dei sacchetti che ha portato in ufficio affinché potessimo darli a qualcun altro. Si è iscritto a calcio e ad ogni partita segna almeno un gol.
In estate hanno partecipato ad un centro estivo che puntava a riqualificare alcune zone della provincia. Gli educatori che hanno lavorato con loro li hanno ringraziati, dicendo che sono stati il motore del gruppo, sempre pronti ad aiutare, sempre disponibili e positivi.
Quest’anno poi sono riusciti ad iscriversi alla terza media. Tutti e tre hanno una grande voglia di lavorare ma, essendo minorenni, fanno fatica a farsi assumere. E quindi il percorso di studi può aprire loro alcune porte, dal momento che i loro titoli originali non possono essere convertiti e perciò in Italia non sono validi. Hanno studiato tutti i giorni per tutta l’estate, e poi hanno superato a pieni voti i test di ingresso. Quest’anno la struttura ha anche accettato di sostenere il corso per un’attività sportiva, che va a sommarsi alle 5 ore al giorno di scuola, ai 2 pomeriggi a settimana di lezione “interna”, e alle uscite con gli amici (T. ha anche una fidanzata). Finalmente dopo un anno e mezzo a Sondrio anche per questi giovani la vita ha iniziato a prendere una piega “normale”, come quella dei coetanei, per quanto possa essere normale la vita di un minorenne completamente solo in un Paese che non è il suo.
Ed ecco che oggi è arrivata una notizia. Proprio per Natale, proprio per loro tre. Verranno trasferiti a Pescara, come se fossero dei pacchetti senza coscienza. Dopo tutti gli sforzi fatti, l’impegno messo, verranno (di nuovo) strappati via da quella che hanno faticosamente imparato a chiamare “Casa” per ricominciare da zero.
Non nego che sotto certi aspetti siano fortunati. Alcuni loro conterranei restano nel mare. Altri per strada.
Però questi tre ragazzi hanno fatto tutto, ma veramente tutto quello che era in loro potere per guadagnarsi finalmente un po’ di pace. Pace che verrà loro tolta con la forza.
Le ragioni del trasferimento sono nebulose. Questo è il modus operandi della struttura dove lavoravo: poca chiarezza e mancanza di trasparenza. Certo io lì non lavoro più, ma neanche chi lo fa ha capito bene cosa sia successo. Si parla di altri ragazzi che non rispettano le regole, di non poter avere dei minori tutti insieme senza sorveglianza (perché ad un certo punto, anche qui per una ragione non chiara, la struttura ha deciso di richiedere l’assegnazione di altri minori, mettendoli tutti in un unico appartamento, mentre prima M., B., e T. erano in una casa con altri adulti). Si parla di tante cose, tranne che di quella secondo me più importante: queste sono Persone, e non è giusto che vengano trattate come merce di scambio, come pacchi da tenere per un po’, per poi liberarsene quando diventa troppo impegnativo gestirli.
Spero che T., B. e M. stiano bene a Pescara. Io conserverò un bellissimo ricordo di questi bravissimi ragazzi, guastato dall’amarezza di saperli vittime di un sistema a cui, di loro, non frega niente.