“Ma non è per caso che questa sua incapacità di vedere se stessa le impedisce anche di vedere i suoi traguardi?” chiese la dottoressa C., laureata in psicologia e specializzata in psicologia dinamica.
La paziente alzò le sopracciglia, con aria dubbiosa.
“Esatto”, proseguì la Dottoressa “Quella che le fa alzare le sopracciglia, come se pensasse che i successi che ho menzionato non esistano, come se credesse di non aver raggiunto nessun obiettivo”.
Guardando la scena, provavo un misto di consapevolezza – era ovvio che fosse così- , pena e rassegnazione.
“Perché ne ha fatti di passi avanti, in questi anni. È vero, ha 26 anni e non ha conseguito nessun premio Nobel, “
“C’è chi lo prende” interruppe la paziente.
“, ma ha fatto dei passi avanti, piccoli passi, che sono stati dettati dalle sue scelte, dalle sue azioni per andare in una direzione precisa.”
Seguì un lungo istante di silenzio.
<<Ma che traguardi>> pensavo io. <<Ma che direzione, poi. Siamo tutti atomi impazziti senza meta e ci illudiamo che non sia così. E poi, se l’obiettivo di una vita può essere questo…>>
Poi la paziente prese la parola, con la voce rotta, ma cercando di riaggiustarla.
“Io non so cosa dirle, dottoressa. Io non mi vedo, non so dire che tipo di persona sono, non so neanche se sono triste o felice, perché io sto sempre male ma se lo dico a qualcuno che mi conosce da poco non ci crede, sa, mi dicono che sembro solare e allora forse non è vero che sono una persona cupa, triste, o forse sono falsa e nascondo anche a me stessa le mie emozioni. Io mi credevo speciale, tutti ci crediamo speciali ma a qualcuno va bene fare l’impiegato 9 ore al giorno in un ufficio con altri 200 impiegati in uno stabile con altri 9000 impiegati tutti grigi davanti al computer, mettendosi addosso qualche colore per andare a bere il caffè, in pausa pranzo, e poi uscire la sera, sempre troppo tardi, e la vita inizia lì, alle 19, tranne se devi fare la spesa, la doccia, o magari perché sei insostenibilmente stanco di queste giornate tutte identiche e non trovi neanche le forze di fare niente se non trascinarti a casa, scaldare una pizza surgelata nel microonde, spalmarti sul divano e scappare dalla tua vita guardando quella degli altri alla tele, i ristoranti di lusso, i ricchi che comprano le case, i detective che risolvono misteri, e noi siamo tutti lì, tutti grigi, i colori messi in un cassetto insieme ai sogni di una vita e addosso solo briciole di pizza surgelata e se ci va bene un gatto o un amante.”
La paziente scoppiò a piangere. Io la biasimai. Il pianto durò una frazione di secondo.
“È da quando ho 13 anni che mi cerco, da quando ho preso in mano quel chitarrino un giorno dopo aver comprato il disco dei Green Day, è lì che ho capito che io volevo essere quella roba lì, farmi trascinare in mezzo a questa cosa bellissima ed emozionante che era la musica, ma già prima c’era la scrittura, i libri, i diari, avevo già vinto dei concorsi, l’Arte insomma no? E io volevo essere quello, a 13 anni volevo fare la rockstar ma pensavo di essere stonata, e poi alla fine non lo ero, sa? Mia madre mi aveva detto che ero stonata da piccola ma non era vero! E comunque allora a 18 anni ho scoperto le webzine, si potevano fare le recensioni, organizzare interviste, figata! E poi? Cos’altro c’è? A 21 anni ho scoperto il mondo dell’organizzazione degli eventi e ci volevo entrare più di quanto tenessi alla mia stessa vita, sì, dottoressa, Lei sorride, perché alla mia vita sembra che io ci tenga proprio poco,ma in fondo non è così, la vorrei solo più bella! E comunque, le dicevo, avevo deciso, volevo organizzare eventi, volevo far divertire la gente, volevo che ascoltassero musica e bevessero e ballassero! Con addosso tutti i loro colori, almeno quella notte, almeno fino a che le gambe reggono. Non era in fondo vero che avevo già organizzato qualche piccolo concerto al paesello? E allora ce l’ho messa tutta, ho impiegato quasi un anno e tre colloqui per farmi accettare nel posto in cui volevo andare a finire, e poi ce l’ho fatta! I due anni più belli della mia vita, ma quando è finita, ed è stata colpa mia? Non lo so! Colpa del fatto che non ho mai voluto scavalcare nessuno, potrà mai questa essere una colpa? Sono finita anche io, in cura psichiatrica, però! Ma io in quel mondo ci volevo restare, perché mi piaceva troppo, ma più cercavo di restarci aggrappata, più mi allontanavo, e più mi allontanavo più tutto mi veniva a nausea, la gente, la spocchia! Crescono così, gli allievi vedendo i propri superiori credersi dio in terra, ma sono solo dei privilegiati, io mi sentivo una privilegiata, lo ero! E invece la spocchia è ereditaria e io sono sempre più insensibile, e sono dovuta scappare, lo dovevo alla mia sanità mentale! E adesso sono ferma in mezzo al niente, senza specchi, senza pozzanghere, non vedo nessuno, non so come tornare a casa, non so come sono arrivata qui ma so che sono nel posto sbagliato al momento giusto, il momento di vivere, gli unici anni che ho a disposizione per vivere la mia unica vita, e sono sola in questa radura spoglia e senza voci, senza amici, ci sono solo io, sono sola con me stessa, e non so nemmeno chi sono, sarò in buone mani, dottoressa? Sono sempre stata qui ma non so chi sono e mi sto cercando da tutta la vita, perché non mi rispondo? Perché non mi guardo negli occhi, fino a leggerci il futuro, il passato, il presente, fino a leggere una storia con la certezza che ci sarà un lieto fine? Noi non ci crediamo più, al lieto fine, dottoressa. Crediamo solo alla fine.”.
La dottoressa tacque.
La paziente tacque.
Io tacqui, ovviamente. Ma nessuno avrebbe potuto sentirmi, in ogni caso. Hanno smesso di ascoltarmi, anche se mi tirano in causa sempre. Fanno un esame a me, anziché a sé stessi. Mi disegnano come un grillo, eppure sono proprio come loro. Mi sporcano, o pensano di farlo, poi si aggirano ugualmente, trasportandomi come un pesante fardello, senza accennare a guardarmi veramente, cercando di capire come pulirmi. Non conto più da quando hanno smesso tutti di ascoltarmi. Sono un flusso troppo rumoroso per essere spento, troppo vero e freddo per essere accettato.
Che fatica, la vita di una coscienza.