Quel giorno ero di pessimo umore.
Lasciamo perdere la questione dei compleanni: li ho sempre odiati, sentendomi in ritardo su tutto. Già il 30esimo era stato letale, quelli successivi non sto neanche a spiegarlo.
Non volevo organizzare una festa, mi sarei accontentata di una cena a casa con mia mamma, mia nonna e mio fratello, ma c’era stato un battibecco in famiglia e mi era passata anche quella voglia.
Al lavoro non avevo detto nulla, quindi nessuno sapeva che fosse il mio compleanno: si prospettava una giornataccia in solitaria.
Era venerdì, e a un certo punto mi balenò per la testa l’idea del mare. Quanto mi piace il mare! Più per passatempo che per convinzione mi misi a controllare i prezzi per un letto in Liguria: Savona, Sestri Levante… Cifre molto alte e spesso lontane dal mare. Tra i più bassi (ma comunque intorno ai 70 euro) c’era un posto letto in camerata in un ostello di una famosa catena a Genova. Avendo bazzicato per anni l’ambiente degli ostelli mi era venuto il dubbio che avrebbero potuto farmi uno sconto “compleanno”, perciò scrissi una mail. Quando uscii dal lavoro tornai a casa abbastanza sconsolata, anche se era ancora presto.
Mentre controllavo di nuovo la disponibilità di camere di albergo, ecco la mail dell’ostello: mi proponevano il 10% di sconto e colazione offerta: un segno del destino!
Cacciai 4 cose in uno zaino (telo mare, crema solare, libro, cuffie) e saltai in macchina. Il viaggio era lungo e io non amo guidare. Dopo un paio di soste e l’ultimo tratto di strada al buio arrivai finalmente a Genova.
In ostello mi diedero un buono per la colazione, un altro per un drink di benvenuto, mi mostrarono la stanza (carina) e mi dissero che al piano di sotto ci sarebbe stato il karaoke.
Dopo aver girovagato un po’ per l’ostello andai nella sala dove si cantava. C’era molta gente, un ambiente piacevole. Parlai con un po’ di persone, tra cui un ragazzo di Genova che mi offrì da bere: lui era un personaggio assurdo che mi chiese se avevo sentito la sua performance di poco prima (l’avevo sentita, era stato onestamente terribile). Poi altri ragazzi stranieri, studenti afghani (mi dicevano: veniamo da un piccolo paese, probabilmente non l’hai mai sentito nominare!), ragazze francesi: la mezzanotte trascorse bevendo una birra in un ambiente (finalmente, di nuovo) internazionale con gente sconosciuta, con la compagnia che ho riscoperto dopo tanti anni: me stessa.
Dopo qualche ora il genovese mi propose anche di andare a mangiare un panino “nei vicoli”, e quindi mi fece fare un bellissimo giro per Genova, in un quartiere molto animato, pieno di locali e persone e musica che mi ricordò la splendida Palermo. Verso le 3 andai a dormire, volevo svegliarmi il giorno dopo ed andare al mare.
Dopo una dormita discreta mentre facevo colazione vedevo sugli schermi presenti nella sala (la stessa dove la sera prima c’era il karaoke) i consigli dei migliori ristoranti, bar e spiagge di Genova. Quella di sabbia (le spiagge di sassi sono invenzione del diavolo) più carina e al tempo stesso vicina si chiamava Bogliasco, decisi di impostare il navigatore verso quella direzione.
Dopo una mezzoretta di guida e un’eternità per trovare parcheggio, ecco che una macchina nell’altra corsia se ne andava ed io, tramite un’inversione a U da ritiro patente, mi accaparrai il preziosissimo posto bianco. Il mare era poco più sotto, il paesino spettacolare: piccole strade pedonali in pietra strisciavano ripide tra case colorate dalla facciata scrostata. L’odore del mare e quello della crema solare fermentavano nel torrido calore del mezzogiorno che si avvicinava. Io scendevo, poi salivo, poi scendevo, alla ricerca della famigerata spiaggetta. Dopo qualche minuto, eccola: piccola, chiara, si tuffava in un mare azzurro chiarissimo, che sfumava in turchese, che sfumava in blu, che sfumava in infinito. Intorno alla spiaggia tante case incorniciavano il paesaggio; sul terrazzo di una di esse c’era una ragazza, indossava un prendisole bianco, era appoggiata alla balaustra, la testa reclinata all’indietro e gli occhi chiusi. Accanto a lei, un tavolo apparecchiato per due.
Respirai a fondo e l’aria che mi riempì i polmoni era pregna di gioia: quella gioia di chi ha fatto la cosa giusta, seppur con fatica, e ora si gode il premio.
Trovai un angolino in spiaggia, e me lo tenni stretto tutto il tempo: poche ore dopo, infatti, la piccola insenatura era gremita di gente al punto che piccoli gruppetti di ragazzi aspettavano in piedi che qualcuno andasse via per accaparrarsi il suo posto sulla sabbia.
Crema, bagno, asciugatura, libro, musica. Questa sequenza si ripeté all’infinito, fino a quando fu ora di partire. Mentre ero nell’acqua mi guardavo intorno e mi rendevo finalmente conto della grande fortuna che ho a potermi permettere di trascorrere una giornata del genere. Ma non è un privilegio, il mio. È stato tutto guadagnato con merito e fatica. Alzai gli occhi verso il terrazzo dove prima c’era la ragazza in prendisole, e vidi che stava facendo colazione (o pranzo, o probabilmente colapranzo) con un’altra ragazza.
Ora di sera trovai anche due persone che cercavano un passaggio per Milano su Blablacar: un uomo un po’ montato che aveva lavorato in tutto il mondo e la sua taciturna compagna russa, e grazie a loro mi ripagai la benzina del ritorno.
Arrivai a Morbegno verso le 23, non ricordo cosa feci ma vagabondai lì intorno per un poco; poi, a mezzanotte, attaccai a lavorare.
Menchemeno un’amica con una torta a sorpresa!