Viaggi

Il Foxtroat Unicorn

Il Foxtroat Unicorn è una specie di Speakeasy. Ci capitai dopo una giornata di formazione per un lavoro che forse non avrei fatto, cloconclusosi con una piacevole degustazione di vini durante la quale ero stata pagata. Stufa della monotomia delle mie giornate avevo fatto un salto al museo del Western Australia – quello d’arte contemporanea era chiuso. Poi, spinta dalle atmosfere di altri tempi in cui avevo passato la notte, divorando “Chiedi alla polvere”, avevo cercato un posto old fashioned (su internet, come nel migliore controsenso). Eccomi dunque a camminare su e giù dal marciapiede del quartiere molto centrale in cui si trovava il posto. Rifiutandomi inizialmente di ricorrere a quella tecnologia che mi stava rovinando la vita, dovetti arrendermi ben presto all’insuccesso. C’erano locali carini ma del Foxtroat Unicorn nemmeno l’ombra. Google diceva che ci stavo davanti, ma nessuna insegna veniva il mio aiuto. Entrai al 101 come indicato dal web, dalla porta vetri che sembrava quella di un condominio.

L’ingresso indicato da Google

Dovevo andare al piano −1, e appena iniziai a scendere le scale coperte di moquette nera iniziai a sentire la musica.
Il Foxtroat Unicorn è davvero un posto di altri tempi: basse luci calde provengono da lampadari arancioni, datate abat-jours e candele su ogni tavolo. I muri così come i mobili sono in legno scuro e portano appesi decine di quadri raffiguranti animali o paesaggi dal sapore inglese. Un po’ ovunque sono esposte bottiglie di liquori, circondate da una copiosa fauna di animali impagliati. La musica era vintage ma proveniente da un tempo diverso: al posto del jazz fumoso e dello swing che mi sarei aspettata in questo ambiente, suonavano i The Who ed i Tears for Fears. Anche la clientela era ferma a inizio ‘900: si trattava di soli uomini. Dietro al bancone invece stavano due ragazze. Ordinai un “Rum and choc”, che potrei aver pronunciato male perché si rivelò, a dispetto della lunga lista di ingredienti, un rum liscio con un chunk di ghiaccio e scorza d’arancia. Me lo preparò una delle due bariste: una giovane sciamana, con cespugliosi capelli rossi un grosso scialle sulle spalle a proteggerla dall’aria condizionata potente, truccata con una pesante matita nera che curvava leggermente verso il basso. Fece il mio drink con quella che sembrava una sapienza antica.
E in quel tempio di tutti i passati e scoprii di aver trovato un rifugio.

Rispondi