Arrivammo a Darwin in una notte appiccicosa di fine maggio. In tre settimane avevamo percorso quasi 5000 km a bordo di Botolo, un van compatto che avevamo stipato fino al cielo di tutto il necessario per il viaggio e molto di più. L’ultima sosta era prevista per qualche chilometro prima, ma avevamo deciso di tirare fino alla città per festeggiare la fine del viaggio – e anche della nostra relazione, ma di quello non ne avevamo ancora parlato.
In centro città c’erano persone e musica ovunque. Scegliemmo lo Shenannigans, un pub irlandese con musica dal vivo, e ci gustammo la nostra meritata birra. Iniziammo poi la consueta esplorazione di Google Maps, versione satellite, alla ricerca di qualche stradina sterrata nella quale parcheggiarci per poi dormire abusivamente come ogni notte. Quando ci sembrò di aver trovato il posto giusto, saltammo su botolo e guidammo per una manciata di minuti. Ci trovammo davanti ad un cancello che sbarrava l’ingresso al sentiero prescelto. Il secondo tentativo fu sul lungomare: non andava bene, eravamo troppo vicini alle case. Iniziavamo ad essere stanchi e nervosi, il Northern Territory ci aveva accolti con un clima umido a cui non eravamo abituati in Western Australia. Alla fine trovammo una stradina pericolante in cui infilarci. Scendemmo al volo dai posti davanti, spostammo velocemente i bagagli dal materasso sul retro e ci catapultammo dentro. Non eravamo stati abbastanza veloci: era entrato anche uno sciame di zanzare.
Dopo averne uccise quante più possibile provammo a dormire. L’aria era immobile, il caldo soffocante. Dopo esserci rigirati per un’ora decidemmo di rimetterci alla guida per tornare alla piazzola di sosta prevista inizialmente, un’ora più indietro. Guidammo stancamente per scoprire che la situazione era la medesima. Alle 5 e mezza iniziava al albeggiare. Mi misi al volante diretta alla prima spiaggia, ma le mosche ci assalirono e la sabbia era bagnata.
In preda all’esaurimento nervoso capimmo che non ci sarebbe stato possibile dormire in van una notte in più. Prendemmo una stanza in ostello, poi rimbalzammo da una prenotazione all’altra mentre cercavamo una soluzione stabile.
Un giorno trovai uno strano annuncio relativo ad una casa con piscina davanti alla spiaggia. Non era precisato se le coppie fossero ben accette (spesso non lo erano) e la proprietaria chiedeva espressamente di telefonare. Per me che odio le telefonate era quasi bastato a farmi desistere. E invece chiamai.
Una stravagante ma gentile signora mi disse che da lei, “nella giungla”, non aveva posto, ma che si stava per liberare una stanza nella casa sulla spiaggia. Dopo uno scambio di informazioni e numeri di telefono, ci ritrovammo fuori da una palafitta moderna a due passi dall’oceano. L’inquilino uscente non c’era, quindi ci aveva dato istruzioni molto manchevoli per entrare. Vagammo in lungo e in largo davanti a porte che sembravano chiuse e attraverso un giardino disordinato. Il pianterreno era caotico, la scala polverosa… “Ma dove sono andata a finire?” mi chiedevo dopo ogni gradino. Poi una ragazza aprì la porta: era Matilda, ragazza inglese arrivata a Darwin da qualche settimana. Appena oltre la porta la casa era bellissima. Il grande soggiorno con pavimento in legno scuro era fiancheggiato da un terrazzo che dava una splendida vista sul parco e sulla spiaggia. La stanza era pulita e spaziosa, con un terrazzino privato e uno specchio a figura intera. In casa vivevano 8 persone, di cui due al piano di sotto. C’erano due bagni e due docce, e anche la piscina. Non ci pensammo quasi affatto: diventammo i nuovi inquilini del 318 Casuarina Drive.
In quei giorni alcuni partirono ed altri arrivarono, così a pochi giorni dal nostro ingresso la composizione della casa era la seguente: Tiffany, 53 anni, australiana e proprietaria di una bellissima cagnolina gigante, Darrpa cane da corsa ormai in pensione; Andrew, 42 anni, mezzo inglese mezzo americano addetto alla piscina; Nish, 35 anni, australiano con origini delle Fiji, un vero party animal; Lisa, francese di 25 anni che lavorava in una pasticceria portando a casa chili di cioccolato; Jakob, tedesco di 27 anni che lavorava 60 ore a settimana perché era lì solo per fare soldi; Julio, 50 anni, originario di Timor Island e leggenda del quartiere: ogni sera passa in bicicletta sul lungomare mentre la sua cassa suona canzoni d’amore o reggaeton; infine la graziosa Matilda, alla ricerca di un lavoro e anche dell’amore (almeno per qualche tempo).
La domenica sera Matilda cucinava verdure arrosto per tutti, insieme al suo leggendario “cheesy leak”, uno sformato di porro assuefacente. Quando io e Mario organizzammo un barbecue loro si aggregarono e finimmo a ballare insieme in un locale del centro. Arrivò il compleanno di Matilda, io preparai una torta. 4 giorni dopo arrivò il mio, e Lisa mi portò dei dolci. Per festeggiare i compleanni andammo in riva all’oceano ad accendere un falò, spizzicando e bevendo, suonando e cantando.
Verso fine giugno la mia coppia scoppiò. Mario andò via di casa, io restai. Successe il giorno prima del mio primo concerto solista della vita. I ragazzi vennero tutti a sentirmi, Mario incluso. Si sedettero vicini a me, uno accanto all’altro. Mi applaudivano dopo ogni canzone, Mario con gli occhi rossi.
Il giorno dopo mi ubriacai molto e andai a fare shopping da K-Mart: luci colorate, coperte morbide, cuscini rosa. Il restyling alla camera avrebbe dovuto farmi smettere di pensare. Funzionò solo per quel giorno, poi mi chiusi nel dolore. Nessuno mi fece domande perché ovviamente sapevano già tutto. Nessuno invase i miei spazi, né cercò di spingermi a fare qualcosa di diverso. Però loro erano lì, sempre. Pazienti e discreti nei giorni in cui non mi alzavo dal letto se non per pisciare e attraversavo l’appartamento a occhi bassi, disponibili e comprensivi nei giorni in cui riuscivo ad abbozzare un discorso di qualche minuto o quando avevo bisogno di dire ad alta voce che stavo soffrendo.
Piano piano il dolore poi si è attutito, la sofferenza si è trasformata. E loro erano ancora lì, sia per me che gli uni per gli altri. C’erano per il concerto reggae al Café de la Plage in cui il cantante Afro Moses dedicava un brano alla nostra stravagante padrona di casa, per le cene tutti insieme o a gruppetti lasciando gli avanzi per gli assenti. C’erano quando ho suonato le altre volte, io c’ero quando qualcuno aveva bisogno di un passaggio o di due uova per cucinare. Abbiamo fatto serata techno aspettando le 4 per portare a casa Matilda, siamo andati a ballare reggaeton per il mio ultimo weekend a Darwin.
La gang del 318 Casuarina Drive è stata come una famiglia durante la mia permanenza a Darwin. Ognuno di loro mi ha dato qualcosa di speciale e tutti insieme mi hanno fatta sentire in un posto sicuro, in un posto che era davvero casa. E per quanto io ami vivere da sola questa esperienza mi ha insegnato come sia possibile vivere insieme anche da grandi, e forse stare bene, e forse stare meglio.
