Pensieri

Running Up That Hill

Io tre anni fa questa canzone non la conoscevo. Nonostante i Placebo siano una band che non si allontana molto da quella che è stata la mia cultura musicale per anni (il punk, prima, il rock, l’indie ed il metal in seguito) non li ho mai ascoltati. Sono entrate nella mia vita una alla volta le canzoni Meds (profetica), Special K (parlando di me) e poi questa.

G. mentre stavamo insieme mi chiese di registrare le voci femminili per una cover che voleva fare e io lo feci. Ed il pezzo originale non lo ascoltai mai.
L’11 aprile 2017 G. registrò il video di questa canzone, che uscì un po’ più di un mese dopo.

Era la prima che pubblicava sotto il suo nuovo nome d’arte ed ebbe (in proporzione a quanto sconosciuto fosse ai tempi) un grande successo. Io ne gioii come si gioisce di un successo personale, perché io e lui, eravamo, per me, una sola cosa, ovvero lui. Mi sono annullata in questa relazione come non avevo mai e come non ho mai più fatto, non perché G. fosse cattivo o volesse questo, ma perché era un momento in cui io non desideravo altro che quello: smettere di esistere, smettere di sentire.

E ce la feci, alla fine, con 20 milligrammi di paroxetina al giorno per sei mesi. Non sentivo più nulla, neanche il piacere nel sesso, e neanche l’amore, quell’amore malato e travolgente e folle e distruttivo e disperato che era la cosa più bella e spaventosa che mi fosse mai capitata in vita mia, non sentivo più neanche quello.
Buttai tutto all’aria, impazzii: l’essere umano non è fatto per non provare emozioni. Io e G. durante i nostri litigi ci ammazzavamo di parole, ci tiravamo gli estintori, ci facevamo sanguinare fino all’anima. Eravamo completamente soli al mondo, non avevamo che l’un l’altra e ci dovevamo salvare a vicenda. Ma non sapevamo come, ed ogni tentativo fallito ci spingeva più a fondo nel nostro abisso isolato.

Chiaramente non era vero, ma questa era la nostra percezione. Abbiamo passato dei momenti bellissimi e dei momenti spaventosi, abbiamo fatto tutto quello che due persone possono fare e anche più di quello che dovrebbero. Io seppi di aver finalmente capito cos’è l’Amore Vero e lui diceva lo stesso. Io ci credevo e lui forse anche, ma ci siamo intossicati a vicenda fino a uno o più punti di non ritorno.

Io dovetti smettere con i farmaci. La psichiatra era contraria – troppo presto, diceva – ma avrei finito con l’uccidermi se non fossi riuscita a ritrovare le mie emozioni.

Dopo poco più di un anno di relazione, G. mi lasciò.
Io ebbi la certezza che sarei morta.

Non morii. Ci si stupisce di quanto un essere umano possa arrivare a sopportare e di quanto in fondo siamo attaccati alla vita, abituati a preservarla. E lo so che cosa state pensando: sì, mi aveva solo lasciato il ragazzo, non si muore di questo. Ma lui era la mia casa. E senza casa fa freddo, e di troppo freddo si muore.

L’11 aprile 2018 con le ultime forze che mi restavano mi feci il tatuaggio che recita “Hai mai visto un’alba così?” e scappai dall’incubo che era diventata la mia vita sperando di trovarne una nuova, che cominciò con l’alba più bella di tutte a Gran Canaria e che per un po’ mi fece dimenticare di tutto il mio passato.

Ma oggi, 14 ottobre 2019, in una serie, ho sentito per la prima volta “Running Up That Hill”, la versione originale. E sono stata nuovamente sbattuta a tre anni fa, ai momenti più belli e più brutti della mia vita, a quello che forse alla fine era un’ossessione più che un progetto, alla paura e alla speranza di chi aveva vissuto una vita sola ma non avrebbe mai voluto nient’altro.

Io di G. mi porto ancora addosso le cicatrici. Le può vedere chiunque riesca ad andare oltre ad uno strato di vestiti o di make up. E io le vedo e le sento e le sentirò per sempre e per sempre mi domanderò che cosa sia stato quel disastro che abbiamo combinato e che una parte di me forse rimpiange alla luce dell’eterna domanda “Ma come sarebbe andata se…?”.

E invece non è andata e io non ho più nulla a che vedere con la persona che ero ai tempi, anche se è bastata una canzone, e per un attimo sono tornata indietro, in quella stanza di Milano Cimiano, con il cassetto delle medicine sempre semiaperto, un bicchiere semivuoto addosso, la bradicardia e i 20 minuti a piedi per arrivare in via Porpora, una bottiglia di rosso dall’arabino, citofono Kovats, con le mie amiche ad aspettare che lui finisse il turno all’autorimessa, prendergli le poche ore che aveva e riportarlo a lavoro alle 6.
Ma siamo qui, al 14 ottobre 2019. G. ha davvero fatto strada nel mondo della musica e capita di sentire dei suoi pezzi alla radio. Ero proprio a Gran Canaria, il posto più lontano che ero riuscita a trovare, a 3000 chilometri da Noi, quando ho visto che usciva una sua collaborazione con Fabri Fibra. Ne ho gioito come quando aveva fatto uscire Running Up That Hill.
Io oggi parlo 4 lingue e sono diventata manager in un ostello a Bordeaux.

Mi pento di qualcosa?
Quasi mai.

Ma nemmeno dimentico.

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