Pensieri

I Perché Della Felicità-Quando L’Accettazione Può Salvarti La Vita

Nonostante le sterminate ore libere che ho in ufficio in questi giorni, non sono ancora riuscita ad ottenere la concentrazione necessaria per fare un punto della situazione attuale e stilare un elenco di buoni propositi. In effetti non la faccio mai, ma quest’anno ho degli obiettivi molto importanti da raggiungere e voglio quindi fare una lista per poi fare il famigerato tick:

Bellissimo.

Dunque non essendo ancora pronta al grande passo e non volendo mettermi fretta da sola, sono costretta ad iniziare l’anno con un post diverso. Nonostante il mio 2017 si sia concluso nientemeno che in tragedia ( ora so che i sedili dietro di una volante della polizia sono duri, di plastica, super scomodi e molto scivolosi, che i poliziotti guidano veloci e che conseguentemente è fin troppo facile slittare da un lato all’altro dei sedili dietro, soprattutto se hai le mani legate dietro la schiena… Ma non sono autorizzata a spiegare come lo so ) ed il mio 2018 è iniziato con me abbracciata alle scatole di xanax che non ho mai voluto buttare ed ora so che ho fatto bene, voglio fare questo sforzo, non inizierò il 2018 con un post tragico, no, sarò rivoluzionaria! Mi giocherò l’unico post felice dell’anno in apertura, e addio.

In un giorno sorprendentemente ed inspiegabilmente allegro di qualche settimana fa, mi sono ritrovata tra capo e collo una riflessione che in seguito mi è sembrata una verità incontestabile, un’illuminazione, poco meno che un’apparizione della Madonna in persona. Una riflessione che riguardava uno dei principali modi in cui si riesce a provare un senso di felicità, o almeno di serenità.

 

Se è vero che l’infelicità può essere causata dal fatto che spesso facciamo delle cose solo perché gli altri se le aspettano (inception: riferimento ad un post che al momento non ho ancora pubblicato ma come dicevo, non volevo cominciare l’anno parlando dell’infelicità), o quanto meno per dimostrare al mondo che valiamo qualcosa o che siamo qualcuno, sarà altrettanto possibile che la felicità derivi dal meccanismo opposto.

Nella società in cui mi trovo (età di prime esperienze lavorative, e conseguente schiavismo legittimato, a Milano, ovvero il centro dell’efficienza all’italiana) è opinione comune che ci si debba dare da fare per diventare qualcuno. Io sono parzialmente d’accordo, nel senso che il mio compagno di merende Giulio mi ha insegnato che nella vita è importante darsi degli obiettivi e lavorare per raggiungerli, ma il mio punto di vista è che questo non deve essere un obbligo morale o una forzatura, e che inoltre nella vita ci siano anche dei periodi di inattività che vanno accettati e non combattuti. Se è sbagliato trovare sempre le giustificazioni più disparate a quella che poi si rivela essere solo pigrizia o insicurezza [le mie preferite sono : sono stanca (ma è vero, perché dietro l’apparenza di ragazza 25enne si cela un incrocio tra un ghiro ed un bradipo pensionato), è IL CAMBIO STAGIONE (giuro. Me lo dico spesso. Soprattutto quando perdo i capelli), lo faccio domani perché in fondo oggi ho già fatto la doccia (e quindi il mio contributo all’equilibrio dell’universo l’ho già dato)] e quindi procrastinare o passare dei lunghi periodi più o meno senza fare niente che non siano le cose quotidiane che siamo obbligati a fare ma che non ci danno gioia, trovo altrettanto sbagliata la logica secondo cui sia vietato avere dei periodi morti, ci si debba vergognare delle settimane dedicate al cazzeggio e ai campionati mondiali di bozzolo nel letto o si debba comunque sempre giustificare la propria negligenza.

 

Ecco quindi una sintesi di quello che penso: la felicità si può trovare nell’accettare che ci siano momenti o persone a cui sta bene una determinata condizione di staticità.

Cresciamo nella convinzione che dobbiamo necessariamente diventare qualcuno, fare vite da film e mezzi miracoli. Ebbene, all’alba (o forse farei meglio a dire al tramonto) dei 25 anni, dopo aver visto la mia vita scivolarmi letteralmente tra le mani, il buio avvolgermi, il respiro spegnersi, mentre collassavo a pancia in giù su un marciapiede strafatta di chissà quale sostanza che mi impediva di compiere qualunque gesto che non fosse girare la testa di lato per vomitare, ed anche questo era molto impegnativo (ma di questa avventura pazzerella parlerò un’altra volta…), mi sono resa conto che aveva ragione la mia amica Martina: il senso della vita è la vita stessa.

E quindi vale tutto: fare i concerti o gli impiegati 9-18 è la stessa cosa, basta che vada bene. Perché chi fa i concerti non ci campa e chi fa l’impiegato deve andare in vacanza ad agosto ma nessuno dei due è da considerarsi un fallimento a priori.

Dico probabilmente una grande banalità affermando quanto segue: il primo passo verso la felicità è l’accettazione di chi siamo: magari siamo pigri, o ci piace fare le cose semplici, o non abbiamo grandi ambizioni.

Magari siamo stanchi, abbiamo appena chiuso un progetto che sembrava quello giusto e invece abbiamo registrato un ennesimo fallimento, oppure non abbiamo ancora le competenze, la mentalità, o semplicemente non è ancora il momento giusto, e in questo caso ci forzeremmo soltanto a fare una cosa che non ci va, e può andar bene se la consideriamo una disciplina, ma niente è obbligatorio mai, tranne stare bene.

Questo non è un inno alla resa! Le cose a cui ci dedichiamo devono essere cose che ci fanno davvero felici. Per quel che riguarda me, io non penso di essere una persona priva di ambizioni, anzi al contrario, ambizioni forse ne ho avute fin troppe, e le aspettative, spesso, sono peggio di boa costrictor. Ma fino a un poche settimane fa mi trovavo in questo preciso momento della mia vita, che è più o meno lo stesso in cui sono ora ma con qualche piccolo sviluppo, in cui stavo aspettando il momento di poter fare un grosso cambiamento e quindi era un periodo di stallo.

Non l‘ho lasciato diventare uno stallo su ogni fronte, ho dei progetti a cui mi dedico più o meno saltuariamente, ma ho imparato a rilassarmi anche nei giorni in cui non combino nulla al riguardo.

 

Quindi, riassumendo in breve: non vi sto dicendo di sprecare la vostra vita a cazzeggiare, è importante avere degli obiettivi, e se non li si hanno, è fondamentale cercarli. Ma non affanniamoci. Anche le serie TV e gli aperitivi in centro sono degni di essere vissuti, se ci rendono felici.

 

Spero che il nostro 2018 sia un anno all’insegna delle cose che ci rendono felici, quali che siano.

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